22 ottobre 2007

Viale Monteceneri, Milano

Giulia era una squillo. Mi bastò un giorno per accorgermi dei suoi due -2- telefonini, ma tacqui:
la mia apparente ignoranza era forse il suo unico motivo per lasciarsi amare.
Nemmeno lei sapeva tutto in fondo. Pensava investigassi per interesse, per passione… non avrebbe mai immaginato che il vero motivo fosse invece la disperazione.
Sbirro e puttana: un classico del resto. Il mio tesserino dell’arma, ormai scaduto, e la sua scomparsa erano solamente stupide eccezioni.

Cercare una persona in una città di qualche -2- milione di abitanti non è impresa facile.
Tra i negozianti del quartiere nessuno ricordava il suo volto; eppure doveva aver comprato delle sigarette, una rivista, o del fottutissimo latte davanti casa, pensai.

Pensai poi al suo volto: mai veduto, forse passato inosservato a chi, comprensibilmente, non voleva infilare la propria reputazione dentro i fatti di una stupida ragazzina.
La mia reputazione era invece una vetrata in frantumi, ed anche il morale era a terra: mi sarei dovuto tagliare per raccogliere entrambi….

19 ottobre 2007

Biblioteca Braidense, via Brera 28, Milano

Nessuna traccia di me.
Questa frase mi perseguita, è il mio chiodo fisso. E la cornice che sorregge è pesante e disordinata come un Botero fra i Modigliani.

Sono sempre stato attento ai piccoli dettagli, quelli che i maestri del Rinascimento italiano lasciavano concludere ai propri allievi, terminato il soggetto principale dell’opera. Paesaggi in lontananza, alberelli sempreverdi, catene montuose immaginarie, animali da compagnia, carretti trainati da asini, sentieri filiformi. Particolari secondari, ma necessari per contestualizzare la figura protagonista. Senza di essi, un magnifico Lorenzo sarebbe apparso fluttuante nel nulla dorato di un cielo bizantino.
La mia attenzione è portata a fissarsi proprio su quei punti, nell’arte come nella vita. Ma il mio atteggiamento nei loro confronti è diametralmente opposto, nell’uno e nell’altro caso. Se nei dipinti li enfatizzo e li pongo, paradossalmente, in primo piano, nella realtà cerco di scovarne il più possibile con lo scopo di occultarli e neutralizzarli.
Ma il principio rimane il medesimo: altero la loro natura di presenza ausiliare.
E’ una lente d’ingrandimento che porge la guancia convessa all’ago nel pagliaio affrescato e quella concava alla trave nell’occhio dell’osservatore.

Fin da bambino ho questo dono. Stipulavo un elenco mentale dei più piccoli spostamenti che provocavo nel mondo esterno, e finché ognuno di essi non veniva rimesso in ordine, non riuscivo a darmi pace. Ero ossessionato dalle tracce, dal loro potenziale inquisitorio. Anche quando non avevo motivo di preoccuparmi, quando non c’era nulla di sbagliato nel mio comportamento.
A scuola ero un bravo bambino. Ora, che sono diventato cattivo, ho capito che maggiore è lo scrupolo, minore è il danno futuro.
Caravaggio ha passato metà della sua carriera in fuga, scappava perché era colpevole. Nei suoi capolavori, ogni dettaglio ha uno scopo preciso, il resto è oscurato. Tutto è focalizzato. Dà il giusto peso ad ogni elemento, anche al segno apparentemente più insignificante.
Caravaggio muore il 18 luglio 1610 sulla spiaggia di Porto Ercole, in preda alla febbre.

Anche con Giulia, sono riuscito a non abbassare la guardia. Ho creato attorno a me un ambiente sterile e per questo inattaccabile. Non esiste alcuna prova che può incriminarmi.
Giulia chi? Non la conosco. Ci deve essere un errore.

18 ottobre 2007

Appartamento sfitto. Viale Monte Ceneri 171, Milano
Lo specchio in anticamera riflesse la mia barba irrimediabilmente incolta. Cresceva troppo in fretta per i miei gusti, quasi quanto la polvere ai piani bassi degli edifici milanesi.
Il suo fermacapelli giaceva invece sul comodino senza un filo di sporco superficiale; cosa improbabile considerando il periodo di immobilità di circa una settimana. Sette -7- giorni trascorsi troppo celermente per non preoccuparmi sul serio.
Il fuggevole ricordo della sua voce sporcava la mia mente come fango sui tacchi a spillo di una puttana.

Ma non tutto il male giunse per nuocere in fondo. Qualche giorno dopo l'inizio del suo silenzio, redassi l’annuncio di scomparsa. Lo pubblicò una mezza dozzina di quotidiani locali, e stranamente venni ripagato. La signora proprietaria dello stabile fu gentile a mostrarmi dove Giulia, "una ragazza d’oro" a suo dire, aveva alloggiato per qualche mese.
La rapina alla Banca Popolare sottostante, avvenuta, sempre a suo dire, nel medesimo giorno della sua sparizione, mi fece poi riflettere...

...urla, spari, sirene e lei sola nella stanza, con il pensiero alla folla di giornalisti sotto il suo balcone...

...una zoomata o un apertura di campo avrebbe potuto sorprenderla, così come le riprese televisive alle manifestazioni studentesche avevano colto in flagrante migliaia di studenti modello.
Forse per questo aveva deciso di eclissarsi nuovamente.
Ma chi, nel frattempo, era rientrato in quella casa?

15 ottobre 2007

Blunote, Via Borsieri 37, Milano
Smisi di bere qualche anno fa perchè mi faceva soffrire, fisicamente.
Ma il dolore fisico a volte è proporzionale alla tristezza come in una di quelle fottute espressioni matematiche, e allora tanto valeva ricomniciare.
Avevo tre in matematica perchè non ho mai capito il senso di tutti quei numeri, tanto meno quello di quasi quarant'anni -40- di vita vissuta: non ero affatto contento.

Il bar era come al solito affollato, ma nulla se confrontato alle belle serate di qualche tempo fa con Amalia Grè al microfono.
La ragazzina sul palco indossava un vestito rosso e, come Giulia, era più bella che brava..
Lei non c'era, e forse non ci sarebbe più stata. Tentai, invano, di impormi un po' di menefreghismo per distolgliere la rampante ossessione, mentre l'ennesimo negroni rifletteva i miei occhi, e viceversa.

Non feci amicizia con nessuno tranne che con il barista, che per altro già conoscevo; ma non mi demoralizzai.
Se avessi voluto scopare, il Venerdì milanese proponeva, su vasta scala, locali colmi di donne obliquamente disponibili, e strade diritte affollate da puttane.
Io scelsi la terza opzione: dormire sarebbe stato un modo per non continuare a pensare inutilmente.

11 ottobre 2007

Appartamento, viale Monte Ceneri 171, Milano

La prima volta che ho sentito la sua voce, era morta da circa venti minuti.

Ricordo che me ne stavo seduto sul divano a due posti, nella sala da pranzo buia, tapparelle abbassate e lampadario muto. Avevo gli occhi stanchi per la polvere e la stanchezza, non mi dispiaceva quell’oscurità.
Ero rimasto così per un po’, a lavoro terminato, cercando di riassumere mentalmente gli eventi della serata. Ero soddisfatto ed esausto, l’unico movimento che riuscivo a compiere era un costante ciondolio del capo, un balletto della testa, mentre seguivo il ritmo di una musichetta proveniente da un’altra stanza. Una litania infantile, come un giocattolo per neonati.
All’improvviso quella cantilena è stata interrotta da un rumore assordante, che mi ha scosso e ridestato dal torpore. Sette lunghi squilli del telefono, cacofonici e ridondanti, hanno invaso la casa addormentata, ignari di essere ignorati.
Al termine del settimo, ho ascoltato il nastro della segreteria telefonica. La sua voce.
“Questo è lo zero-due-cinque-quattro-cinque-nove-sette-sette-uno, al momento non sono in casa, lasciami un messaggio dopo il segna…” Messaggi in segreteria: zero.
Chi ha chiamato deve aver pensato che lei non era in casa, e ha preferito riattaccare.
Invece lei era lì, con me. Ma distesa sul pavimento, immobile.

Ricordo di essermi alzato di scatto, e di aver incominciato a rassettare la stanza, riponendo tutti i miei attrezzi nel borsone. Tutti lavati accuratamente nella vasca da bagno.
Nessuna macchia di sangue, nessuna impronta, nessuna traccia di me.
Mentre mi dirigevo verso la porta, per uscire finalmente da quell’appartamento sepolto, mi sono ricordato del souvenir. Inizialmente avevo optato per un fermaglio per capelli, ma poi l’ho riposto sul comodino dove l’avevo trovato. Volevo conservare qualcosa di suo, e cosa è meglio della sua voce?

Ricordo di aver estratto la cassetta dall’apparecchio vicino al telefono, e di averla infilata nel borsone, insieme al resto.
E mentre me ne andavo, dall’altra stanza quella canzoncina continuava a tormentarmi i timpani.
Un motivetto irritante, ripetitivo, banale. Straziante carillon scordato.

Non ricordo quale fosse la melodia.