11 ottobre 2007

Appartamento, viale Monte Ceneri 171, Milano

La prima volta che ho sentito la sua voce, era morta da circa venti minuti.

Ricordo che me ne stavo seduto sul divano a due posti, nella sala da pranzo buia, tapparelle abbassate e lampadario muto. Avevo gli occhi stanchi per la polvere e la stanchezza, non mi dispiaceva quell’oscurità.
Ero rimasto così per un po’, a lavoro terminato, cercando di riassumere mentalmente gli eventi della serata. Ero soddisfatto ed esausto, l’unico movimento che riuscivo a compiere era un costante ciondolio del capo, un balletto della testa, mentre seguivo il ritmo di una musichetta proveniente da un’altra stanza. Una litania infantile, come un giocattolo per neonati.
All’improvviso quella cantilena è stata interrotta da un rumore assordante, che mi ha scosso e ridestato dal torpore. Sette lunghi squilli del telefono, cacofonici e ridondanti, hanno invaso la casa addormentata, ignari di essere ignorati.
Al termine del settimo, ho ascoltato il nastro della segreteria telefonica. La sua voce.
“Questo è lo zero-due-cinque-quattro-cinque-nove-sette-sette-uno, al momento non sono in casa, lasciami un messaggio dopo il segna…” Messaggi in segreteria: zero.
Chi ha chiamato deve aver pensato che lei non era in casa, e ha preferito riattaccare.
Invece lei era lì, con me. Ma distesa sul pavimento, immobile.

Ricordo di essermi alzato di scatto, e di aver incominciato a rassettare la stanza, riponendo tutti i miei attrezzi nel borsone. Tutti lavati accuratamente nella vasca da bagno.
Nessuna macchia di sangue, nessuna impronta, nessuna traccia di me.
Mentre mi dirigevo verso la porta, per uscire finalmente da quell’appartamento sepolto, mi sono ricordato del souvenir. Inizialmente avevo optato per un fermaglio per capelli, ma poi l’ho riposto sul comodino dove l’avevo trovato. Volevo conservare qualcosa di suo, e cosa è meglio della sua voce?

Ricordo di aver estratto la cassetta dall’apparecchio vicino al telefono, e di averla infilata nel borsone, insieme al resto.
E mentre me ne andavo, dall’altra stanza quella canzoncina continuava a tormentarmi i timpani.
Un motivetto irritante, ripetitivo, banale. Straziante carillon scordato.

Non ricordo quale fosse la melodia.

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